Le
vaste terre abitate dai sámi si trovano all'estremo Nord dove l'inverno indugia,
tra ghiacci e neve, con la pallida luce lunare e la fiammeggiante aurora boreale,
ma dove l'estate che rischiara le notti è soltanto un ospite di passaggio. |
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A partire dalle saghe scandinave, dove ai finnar erano attribuiti
inquietanti poteri magici, i popoli nomadi dell'estremo nord d'Europa, a lungo
raccolti sotto il termine dispregiativo di "lapponi", sono stati considerati uno
dei simboli per eccellenza dell'"alterità", di ciò che è ignoto, estraneo alla
civiltà, quasi soprannaturale.
In questa sua opera prima (1915), esordio di una brillante carriera dedicata
alla storia delle religioni, Uno Harva esplora l'universo spirituale dei sámi.
Attingendo sia ai resoconti di viaggiatori e missionari, sia al materiale
archeologico e iconografico, l'autore illustra le credenze dei sámi, ne rivela
le strutture profonde, il senso della natura e l'interazione tra mito, rito e
ambiente.
Dal culto dei morti – che dimorano all'interno delle alture sacre (i
sáivat) – al tremendum legato alle rocce di foggia peculiare (i
sieiddit), dalle divinità del cosmo e della natura fino alle akat
deputate al concepimento e alla nascita, Harva svela le relazioni della
religione lappone con la mitologia scandinava e con le concezioni dei popoli
dediti all'agricoltura; traccia la psicologia dei loro riti e sacrifici, tra cui
le "esequie" dedicate all'orso abbattuto dai cacciatori, e illustra la visione
del mondo legata alla figura dello sciamano, il noaidi. Con il suo
approccio fenomenologico e comparativo – discendente dalla tradizione del metodo
storico-geografico di Kaarle Krohn –, Uno Harva sfida ancora una volta il
lettore a mettere in discussione la dicotomia tra la religione "primitiva" e la
religione "organizzata". |